Parlare di caporalato con due ospiti illustri. Marco Omizzolo, sociologo, scrittore, testimone
sotto copertura di un sistema consolidato nel quale è diventato lui stesso vittima per poter
capire cosa spinge il “padrone” a ridurre in schiavitù un essere umano, come avviene la
trasformazione persone in cose, in oggetto.
Il suo libro “Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana”, edizioni
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli tra caporali che lucrano sul lavoro di donne e uomini,
spesso stranieri, sfruttati nelle serre italiane. Braccianti indotti ad assumere sostanze dopanti
per lavorare come schiavi. Ragazzi che muoiono – letteralmente – di fatica. Donne che ogni
giorno subiscono ricatti e violenze sessuali. Un sistema pervasivo e predatorio che spinge
alcuni lavoratori a suicidarsi, mentre padroni e padrini si spartiscono un bottino di circa 25
miliardi di euro l’anno. Un viaggio, quello di Omizzolo, condotto da infiltrato tra i braccianti
indiani nell’Agro Pontino e proseguito fino alla regione indiana del Punjab, sulle tracce di un
trafficante di esseri umani. Un’inchiesta sul campo che parte dall’osservazione e arriva alla
mobilitazione: scioperi, manifestazioni, denunce per rovesciare un sistema che si può
sconfiggere.
Una pietra d’inciampo hanno definito il suo ultimo libro, definizione che lui ripropone, perché
raccontando storie di emarginazione e storie di vite di vittime di violenze si deve uscire dal
proprio spazio geografico che costruisce persone di sere A e serie B.
Lo sfruttamento e l’emarginazione è uno stato di subordinazione che obbliga le persone a
recitare una parte a vivere di minimi.
Si arriva a rinunciare alla propria identità, al proprio nome, alla propria storia e vita. Tutto
questo processo ti rende più ricattabile e periferizzato sia nella comunità di lavoro, ma cosa
ancora più drammatica, nelle proprie comunità d’origine.
Vivere come “Cittadino del margine “ rende legati per sempre in un sistema che non ti farà
più alzare la testa e se ti va bene ne esci solo con la morte.
Dopo una breve pausa è la volta di Beppe Casales e il suo spettacolo:
“Il monsone – una storia di caporalato “
ispirato al libro “Sotto padrone” di Marco Omizzolo.
Con Casales attraversiamo la vita di chi forte di un sogno finisce in un incubo. Ma non ci
assolve in questo processo che ci vede protagonisti in parte e misura. Perché
dobbiamo iniziare a non indignarci soltanto ma agire nel quotidiano per poter cambiare. Il
cibo arriva sulle nostre tavole, ogni giorno attraversa questo sfruttamento, caporalato e
addirittura schiavismo.
“Il monsone” è uno spettacolo che tra musica, voce e immagini compone pezzi di un
processo al contrario: l’uomo sfruttato si ribella e per questo deve essere punito.
Il solo tentativo di ribellarsi allo sfruttamento viene percepito come una sconsideratezza, una
mancanza di riconoscenza dello sfruttato nei confronti sia del sistema economico che lo
sfrutta, sia nei confronti dello Stato che lo tollera.
Queste le premesse di un processo nel quale ogni protagonista trova voce e musica: un
giudice meteoropatico, Harjeet lo sfruttato, la giovane ragazza che si ribella, il padrone che
da accusato si trasforma in accusatore, il supermercato canterino e spensierato.
Tutti aspettano il monsone, il vento che porterà la pioggia del cambiamento.

Nessuno si salva da solo. Stare in un margine abitare le ingiustizia, sentire l’ingiustizia
come una cosa che ci riguarda sta smuovendo coscienze e facendo cambiare la prospettiva.
Bene fanno La cooperativa Agorà Kroton, insieme ai partner dei progetti “Diagrammi di
Legalità al Centro Sud” e “Luoghi in Comune”a promuove giornate di studio sul tema del
caporalato e dello sfruttamento lavorativo per porre in essere sistemi d’uguaglianza e pari
dignità umana.