Di seguito la nota/riflessione di Gianfranco Turino sulla violenza verbale di cui, ultima in ordine di tempo è stata vittima Giorgia Meloni, e che ormai trascende dal sessismo e sfocia in tentativo di sopraffazione di chi vede dinnanzi a sè non l’avversario politico ma il “nemico da abbattere”.
“Il caso di Giovanni Gozzini, docente dell’Università di Siena, che in una trasmissione radiofonica ha insultato Giorgia Meloni con violenza, in questi giorni sta imperversando nell’opinione pubblica di tutta Italia.
Le parole utilizzate dal docente universitario sono così volgari e così violente, soprattutto perché usate contro una donna, da far intervenire anche il Presidente della Repubblica. La solidarietà nei confronti della Meloni è stata bipartisan, da Leu alla Lega, in attesa di vedere cosa deciderà il Magnifico Rettore di Siena nei confronti del professore.
Tutto lo Stivale è stato attraversato da un brivido di sdegno nel sentire quella violenza così gratuita e senza alcun senso, tutto lo Stivale, tranne Crotone, dove la cosa è passata inosservata, un po’come il dibattito sul ddl Zan, che se non fosse stato per la consigliera comunale della Lega, Marisa Luana Cavallo, avrebbe viaggiato sul quinto binario dell’indifferenza crotonese. Paradossi di questa città che ama piangersi addosso e che non cerca mai di emanciparsi anche da sé stessa.
Ritornando alla vicenda Gozzini/Meloni, ciò che colpisce non è tanto la lista di animali utilizzati dal docente per offendere la leader di Fratelli d’Italia, quanto le frasi sulla sua ignoranza.
Come ha fatto ben notare Luigi Mascheroni, lunedì sulle colonne de Il Giornale, la vicenda assume toni ancora più inaccettabili per “la scientificità raggelante con cui il professore spiega che Giorgia Meloni non ha mai letto un libro in vita sua. Che è del tutto ignorante…”
Parole che diventano ancora più offensive e drammaticamente disgustose se affiancate al sorriso compiaciuto dell’interlocutore di Gozzini, lo scrittore Giorgio Van Straten, che ad un certo punto inizia quasi una competizione con il docente senese su chi diventava più offensivo nei confronti della Meloni.
Ora il problema non è più il sessismo, che sarebbe già grave di per sé, ma l’idea che esiste qualcuno che si sente intellettualmente o ancora peggio moralmente superiore a qualcun altro.
Che ci sia chi, eletto non si sa da quale entità divina, si possa consentire di dare giudizi etici, morali, culturali e “bestiali” su un’altra persona.
Ci troviamo davanti ad una degenerazione che abbandona il concetto di “avversario politico” per tornare all’antistorica idea del “nemico da abbattere”, ma che sfocia nella negazione dell’altro, che non può e non deve più essere considerato come una persona, ma come “essere inferiore”.
Una riedizione della “razza ariana” di nazista memoria, o della presunta “superiorità morale della sinistra italiana”, che, negli anni ’70 portò alla coniazione della frase: “uccidere un fascista non è reato”.
Non so perché, ma questa triste vicenda, che rischia di produrre una drammatica deriva, mi riporta in questa nostra piccola città ai confini dell’impero, dove la violenza verbale diventa quotidianità, dove i giudizi, o meglio i pregiudizi morali si trasformano in sentenze pubbliche, dove l’avversario viene perennemente additato come “indegno”. Una degenerazione morale che ha ormai pervaso tutti noi, in una società, quella crotonese, che sta attraversando il suo peggior declino. Altro che città di Pitagora, altro che Kroton, per ritornare alla quotidianità del dibattito. Il segnale peggiore di questo declino, non so se oramai irreversibile, viene dato da chi occupa ruoli istituzionali di rilievo.
Di chi, per nascondere la pochezza delle proprie tesi, basa il suo consenso sul continuo attacco denigratorio all’avversario. Tanto si sa, parlare male di qualcuno giova, per diverse ragioni.
Giova innanzitutto perché distoglie l’attenzione da sé stessi e dalle proprie manchevolezze. Giova perché gioca sulla disperazione della gente, e la gente disperata cerca sempre un qualcuno a cui dare la colpa delle proprie sofferenze.
Lo è stato da sempre nei confronti degli ebrei. Un popolo che è stato perseguitato da tutti, a cominciare dagli egiziani a finire ai nazisti e ai sovietici, solo perché da sempre additato come quel popolo che si arricchiva con i soldi degli altri. Hanno posto storicamente un obiettivo sulle spalle degli ebrei, un obiettivo che, ancora oggi, si annida in tutti noi, anche in chi il 27 gennaio, Giorno della Memoria, si batte il petto nel ricordo delle vittime dell’olocausto, ma il giorno dopo continua, imperterrito, a mantenere comportamenti che incitano all’odio.
Una campagna d’odio che trova poi il massimo sfogo quando si parla di politica, e in modo particolare in campagna elettorale. In questi frangenti si ha, oramai, la convinzione che più si offendono gli altri e più voti si prendono, dando il via ad una spirale d’odio che rischia, da un momento all’altro, di trasformarsi in vortice di violenza. In questi giorni stiamo assistendo ad una nuova campagna social di qualche improvvisato personaggio che, alla vigilia delle regionali, sentendosi già candidato, sta seminando offese e odio che la metà basterebbe. Mai una proposta, mai una soluzione ad un problema, mai un’idea, soltanto attacchi e offese, accuse e falsità, e tutto soltanto per un applauso, o in questo caso per un like. Forse, è giunto il momento di fermare tutto questo, di bloccare tutto e scendere dal treno, per ragionare, guardarci in faccia e magari anche pensare a confrontarci, invece di offenderci.
Ci vuole un forte senso di responsabilità per bloccare questo declino della società che è diventata ormai una vera e propria barbaria.
Ed il senso di responsabilità dovrebbe albergare, per primo, in chi occupa ruoli istituzionali, in chi dovrebbe, con la sua azione quotidiana, dare l’esempio.
Ma purtroppo, proprio in questi personaggi pubblici troviamo gli atteggiamenti peggiori, perché i potenti si sentono anche impuniti, si sentono liberi di poter giudicare gli altri, di poter emettere giudizi morali, di poter offendere chiunque non la pensi come loro.
Dovremmo, tutti noi, tutti i giorni lottare e rivendicare uno spazio di diversità per essere veramente liberi, per essere tutti ugualmente degnamente persone!”